La maggior parte di noi sa che che le auto, il riscaldamento domestico e le fabbriche sono tra le maggiori responsabili dei cambiamenti climatici. Le alte emissioni di CO2 sono infatti ormai note per essere le responsabili dell’aumento della temperatura terrestre, fenomeno noto come effetto serra.
Eppure, il fattore che più incide sui cambiamenti climatici non deriva da queste tre attività dell’uomo. Molto dipende invece dall’agricoltura e dall’allevamento di bestiame a fini alimentari.
L’agricoltura è responsabile di circa un terzo dell’aumento della temperatura registrato negli ultimi decenni. Un triste primato, considerando che gli effetti negativi sul clima sono essi stessi la causa delle minori rese delle colture. Un circolo vizioso dunque, che secondo gli esperti dovrà essere interrotto agendo sui metodi di coltivazione e allevamento, onde evitare effetti catastrofici sul pianeta.
Ma in che modo l’agricoltura globale incide in misura così consistente sui cambiamenti climatici? È presto detto: attraverso lo sfruttamento del suolo da parte dei processi di coltivazione industriale, l’uomo sta impoverendo la capacità dei terreni di fornire nutrienti per le specie coltivate.
Oltre a ciò, i sistemi di coltivazione e allevamento globali stanno anche impedendo al suolo di svolgere l’importante compito di assorbire più del 30% delle emissioni di CO2.
Le conseguenze per la salute del nostro pianeta
I cambiamenti climatici hanno già mostrato i loro effetti negativi sul nostro pianeta. A causa delle difficoltà di produrre quantità sufficienti di cibo, assistiamo in questi anni a flussi migratori sempre più intensi da parte di molte popolazioni.
Sono i nuovi migranti alimentari, per la maggior parte abitanti delle aree meno sviluppate. Oggi sono infatti costrette ad abbandonare i loro territori per sfuggire ai fenomeni di siccità, inondazioni e carestie.
Ad aggravare le condizioni di queste popolazioni, si aggiungono i fenomeni di degrado ambientale, erosione dei suoli, salinizzazione dei terreni e persino infestazioni e patologie fungine e virali.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e sulla salute dell’uomo rappresentano uno tra i problemi da affrontare con più urgenza. Gli attuali sistemi di produzione alimentare sono infatti la causa primaria dell’aumento del gas serra, e occorre porvi rimedio quanto prima.
Le soluzioni al problema dei cambiamenti climatici
Se il cibo e il sistema con cui lo produciamo sono tra i maggiori responsabili dell’aumento delle temperature del nostro pianeta, sono pure la chiave per risolvere il problema. Cambiare i metodi di coltivazione, sempre secondo gli esperti, può invertire il fenomeno del riscaldamento globale. Un aiuto importante, che può contribuire a risolvere uno dei principali pericoli per il nostro pianeta.
Negli ultimi decenni si assiste al progressivo abbandono del modello alimentare rappresentato dalla dieta mediterranea. Il consumo di alimenti di origine animale sta diventando sempre più la scelta alimentare più facile da parte di molte popolazioni.
Un maggior consumo degli alimenti alla base della dieta mediterranea potrebbe invertire la tendenza all’aumento dei gas serra, purché anche i sistemi di coltivazione vengano modificati.
Sono ancora troppi gli scarti di materie prime di origine vegetale e animale che avvengono nella ormai lunga catena produttiva. Un consumo più sostenibile, unito a una maggiore resa produttiva delle fonti alimentari, può cambiare le carte in tavola, a favore di un rallentamento dei cambiamenti climatici in atto.
In questo senso, un cambiamento delle abitudini di acquisto può essere una carta importante da giocare. Privilegiare le fonti vegetali quando facciamo la spesa, può infatti obbligare i supermercati a cambiare la varietà degli alimenti offerti ai consumatori.
Ecco quindi che l’acquisto di frutta e verdura di stagione, biologica e prodotta localmente, potrà spingere tutta la catena produttiva e commerciale del settore alimentare, contribuendo a salvare la salute nostra e del pianeta.